Architetture Rovesciate_Mascali

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2004
Architetture rovesciate
arch. Giovanni Fiamingo
coll. A. Romagnolo, L. Bonanno, A. Coco, L. La Giusa, F. Miroddi

Premessa
Storicamente, è sempre la Natura a risultare impressa sulle linee architettoniche degli edifici (mimesis), pur nelle trascrizioni sempre più astratte che le varie epoche hanno prodotto (ordine architettonico, prospettiva rinascimentale, astrazione moderna).
Quello che noi proponiamo è un rovesciamento di questa consuetudine, imprimendo e ri-cavando la spazialità ricercata nel vivo spessore della terra e dei basalti lavici del territorio etneo, a partire da un oggetto già “dato”.
Piuttosto che costruire un edificio poggiato sul suolo o emergente dalla terra, intendiamo progettare un organismo “generato” dalla ideale intersezione delle forze telluriche della stessa con quelle provenienti dalla tradizione estrattiva-costruttiva della cultura lavica.
Il nostro obiettivo è quello di avvicinare le “ombre dell’origine” all’oggetto architettonico.


Il contesto di riferimento
All’architettura recente, viene spesso rimproverato di sconfinare nello specifico scultoreo. In proposito, un imbarazzato silenzio disciplinare sembra sancire, ed avallare, la distinzione in arte dell’ “aggiungere” e dell’assemblare per l’una; del “sottrarre” e dello scavare per l’altra. Tuttavia, occorre considerare che la condizione contemporanea dell’architettura, ben lontana dalle rassicuranti certezze del passato, sembra appunto riassumibile nella metafora del “negativo” e del vuoto, come contrapposto al “positivo” e al pieno dell’oggetto architettonico.
Senza intenti provocatori, da qui partiremo: da questa ineludibile moderna condizione che sembra tuttavia capace di riproporre l’antico sodalizio fra l’arte dell’architettura e quella della scultura; il tutto posto in relazione con un inevitabile contesto: nel nostro caso, con tre linee di paesaggio.
L’esistente con cui ci confrontiamo, infatti, non è costituito solo dal luogo fisico individuato dall’ingresso alla chiesa madre di Mascali, ma anche da quello storico delle determinazioni formali più significative assunte dal sagrato; oltre che dalle radici culturali del contesto in cui ci troviamo ad operare, della cosiddetta civiltà etnea.

Il progetto
Il progetto si propone di interpretare il nuovo sagrato come luogo del limite; come filtro e luogo di relazione fra l’interno sacro e il continuum urbano.
Esso viene potenziato nelle sue “funzioni”, prolungato ed esteso, fino a produrre una vera e propria rimodellazione urbana e paesaggistica degli spazi esterni. Tale prolungamento, condotto sulla linea diagonale dello stacco da terra che connota il sagrato, finisce per incidere il suolo proiettandone lo spazio verso l’antistante piazza. Simbolicamente, si propone la proiezione non solo della facciata, ma dell’intero spazio sacro della chiesa: fino a produrne il volume negativo.
Si definisce, così, un’operazione di “rovesciamento” che mira a svelare le tracce originarie del processo di costruzione dell’architettura, producendo il luogo simbolico della cava da cui sono stati estratti i frammenti architettonici della costruzione. Nello scavare, le tracce dell’esterno della chiesa diventano “interne”, restituendo l’immagine del recinto cultuale.
In questo modo, si realizza un luogo spazialmente in “bilico” fra le due polarità dell’interno sacro e dell’esterno laico, in una unitaria e paradigmatica interazione.
Nella cavità prodotta dal rovesciamento architettonico del sagrato e della chiesa esistenti possono, ovviamente, essere proiettate le stesse funzioni religiose. Ma soprattutto essa potrà ospitare spettacoli, incontri, proiezioni ed esposizioni. Inoltre, le tracce volumetrico-architettoniche originate dall’operazione di sottrazione, impresse nel suolo, organizzano la spazialità ipogea e spiralica di un nuovo Museo della lava, oltre che di un parcheggio pluripiano.
In ultima analisi, questa riorganizzazione urbana e paesaggistica caratterizzata dalle forti ombre del negativo della chiesa, contrapposte alla sua apollinea massa volumetrica fuori terra, dovrebbe ricondurre alle primigenie esperienze spaziali delle basiliche riutilizzate dai cristiani, al cui interno longitudinale e “simmetrico” si accedeva da un fianco.
Per concludere: questo progetto non avrebbe mai visto la “luce”, forse dovrei dire il “buio”, senza il prezioso contributo di: Luigi Bonanno, Antonio Coco, Lucia La Giusa, Francesco Miroddi.